Di tutti i ricordi che si possano avere quelli che si legano ai luoghi che hanno fatto la storia individuale e collettiva della comunità di cui narrano restano pur sempre memoria condivisa da custodire assieme. Ogni volto, voce, storia, nome che viene a mancare è il “pezzo” di puzzle che non potrà più sostituirsi. Ci sono dentro generazioni, epoche, decenni di vita vissuta. Erano i tempi del “Gran Caffè” nella piazza più animata di Sant’Anastasia. Già il “Gran Caffè” nei luoghi dove oggi vive “Altamura” a cui dobbiamo augurare ogni bene per tenere acceso quel ruolo: un bar sul fronte della piazza che trovi quando arrivi con il treno nella cittadina vesuviana. Lello Sodano, appassionato conoscitore delle memorie collettive, a cui si lega un intero filone del suo “Novecento anastasiano”, fatto di immagini storiche, foto private e racconti che lui stesso riannoda, del “Gran Caffè” ha scritto un ricordo che è assai bello riportare proprio in questi giorni nei quali la comunità anastasiana saluta per sempre la “signora” del “Gran Caffè” come per molti anni veniva definita Maria Maione, moglie del già compianto Francesco Rega, don Ciccio e madre di Mina Rega, di Pupa e di Rino a cui la città avrebbe dovuto dedicare molto più tempo per non dimenticare il suo sacrificio che lo rese vittima innocente del sopruso, della camorra locale e del malaffare. Ma questa è un’altra storia e chi ha letto le carte processuali lo sa bene. Conosce i nomi, i cognomi, i mandanti, il supplizio in vita e in morte a cui fu soggetto Rino Rega da tutti stimato e apprezzato per le sue enormi qualità umane.

«Il “Gran Caffè”, agli inizi degli anni ’50 – ha scritto Lello Sodano nei suoi ricordi – segnò un cambiamento radicale di quello che era il classico bar paesano, prettamente maschilista ed un po’ retrogrado. Segnò l’inizio di ciò che diventarono le ordinarie abitudini di incontro tra persone di una nuova generazione, più aperte e moderne. Personalmente non ho avuto il piacere di assistere all’inaugurazione poiché ero in collegio, ma una visita di mio padre e mio fratello servì a descrivermi il bar principalmente come cambiamento e modernità rispetto ai vecchi Caffè che erano un po’ sparsi sul territorio anastasiano. Il Gran Caffè creò una diversa concezione di gestire il tempo libero, favorendo relazioni interpersonali, consentendo una promiscuità di pensiero, di abitudini, di caratteri, di persone, quasi assenti nel vecchio concetto di bar. Fino alla fine degli anni cinquanta, l’immaginario collettivo e le vecchie tradizioni ponevano il maschilismo al centro della vita sociale del nostro paese. La nostra cultura si era fermata al concetto di famiglia esclusivamente patriarcale. La donna curava la casa, non usciva se non per necessità attinenti alla famiglia ed aveva poca considerazione sociale; le ragazze non godevano della libertà di oggi né tanto meno era pensabile che potessero frequentare un bar: insomma, eravamo ancora rimasti con le vecchie idee dei primi anni del ‘900. Il Gran Caffè servì anche a cambiare, in parte, tali abitudini. E per questo un grazie a don Michele Coppola, che ancora una volta, dopo la costruzione del cinema Metropolitan, si rivelava grande imprenditore con la mente proiettata al futuro. Lo frequentavamo con i nostri coetanei ed amici , scherzavamo, colloquiavamo, fraternizzavamo, ci si divertiva, si condividevano interessi e passioni, si intrecciavano rapporti affettivi, ci accorgevamo, insomma, che qualcosa era davvero cambiato rispetto agli anni precedenti e noi ragazzi lo percepivamo dalla soddisfazione dei nostri padri, i quali gonfiavano il petto con orgoglio di avere a Sant’Anastasia, ancora in pieno dopoguerra, un bar che era degno di tale nome e che, assieme al cinema Metropolitan, era il vanto e fiore all’occhiello della nostra cittadina. Eravamo tutti noi, insomma, quella che oggi chiamano “movida”. Posso affermare che ne siamo stati i precursori! Ricordo i primi gestori: il vecchio Santino Di Somma “il guardiano” con i suoi figli Paolo e Davide che erano anche nostri coetanei e con i quali diventammo amici, il barista Franco “Bocciuolo” ancora ragazzo, i fratelli Raffaele e Vincenzo Maione di Capodivilla, Gaetano Lanzone e poi il successivo gestore Ciccio Rega, con il figlio Rino, un gran bravo ragazzo e persona per bene. Con Ciccio in particolare noi giovani avevamo instaurato un bel rapporto ed era sempre disponibile all’ascolto quando si trattava di apportare delle novità al bar. Voglio ricordare un’altra persona. Si chiamava Sabatino Maione, ma da tutti conosciuto come “Renato Casanova”. Era il “factotum” di Ciccio Rega ed amava definirsi direttore del Gran Caffè. Si esprimeva in un buon italiano, voce squillante e penetrante, sapeva svariare in molteplici argomenti ed era molto bravo in opera di convincimento. Ciccio Rega era un giovane autotrasportatore proveniente da Castel di Cisterna, sposato con un’anastasiana, che verso la fine degli anni ’50 decise di cambiare attività optando per un lavoro più tranquillo e sedentario: la gestione di un bar, e scelse addirittura quello che a Sant’Anastasia era considerato un gioiello: il Gran Caffè. Rilevò il bar dai fratelli Di Somma nel 1959, i quali lo avevano gestito fin dalla sua apertura. Successivamente, nell’anno 1963, chiuse la sala da biliardo ampliando il bar con altri locali adiacenti e aprendo una pasticceria dalla quale iniziarono ad uscire i migliori prodotti della zona. Ai tavolini del Gran Caffè bruciavamo la nostra gioventù riparati dalla canicola estiva che affrontavamo dividendoci una Coca in quattro, con un muto e variopinto JukeBox sempre in attesa che qualcuno ci inserisse una monetina per farci ascoltare una canzone, mentre le nostre orecchie percepivano solo il ding-dong della pallina impazzita di un flipper. Al ritorno dalle vacanze conversavamo raccontandoci le nostre avventure, le nostre ansie, i nostri primi amori, non trascurando qualche accenno al nostro futuro. A volte lo tradivamo, ma soltanto nei pomeriggi ancora più afosi cercando riparo sotto la frescura degli alberi che circondavano l’altro caffè dirimpettaio, il “Bar Italia”. E d’inverno, infreddoliti, ci rifugiavamo nella sala da biliardo in cerca di tepore riscaldandoci con una cioccolata calda o un bollente ponce preparato con maestria dal barista di turno. Il Gran Caffè era la nostra “garitta” domenicale nell’attesa della passeggiata delle ragazze … l’avanzare il passo che diventava un vero e proprio inseguimento …l’ “abbordaggio”! Quanti amori sono sbocciati in quella passeggiata che da piazza Ferrovia ci portava fino alla Madonna dell’Arco! Ma… . Ma non voglio essere triste nel ricordare che è stato chiuso e non c’è più, ciascuno lo rammenterà a modo suo e per tutto ciò che significava, perché la tristezza tradirebbe quello che il Gran Caffè ci ha sempre trasmesso: allegria, spensieratezza, felicità, ed affetto verso tutti, e la sua chiusura ancora una volta ha portato via, per noi più anziani, un pezzo del nostro cuore.»

Il matrimonio di Maria Maione con Francesco Rega

Intanto, da poche ore ha lasciato la sua dimora terrena l’anastasiana Maria Maione che aveva portato qui da noi il suo Francesco Rega da Castello di Cisterna legando quel loro sodalizio umano e professionale alla vita di un bar che ha fatto la storia della città. Non fu facile per loro due incassare i colpi di un destino beffardo quando nel maggio del 1988 la mano assassina entrò proprio nel “Gran Caffè” per uccidere Rino Rega, vittima innocente di una camorra locale spietata e spavalda che dapprima lo aveva costretto a subire ogni angheria messo com’era in un matrimonio sbagliato che pure aveva dato alla luce due splendidi figli (Solange e Francesco). Solange fu mia alunna quando frequentava gli anni dell’Istituto magistrale ed io ero il suo docente di filosofia, pedagogia e psicologia. Mi confidava ogni istante i dettami di una sofferenza che la tormentava e che la portò per un destino beffardo ad una morte prematura nel corso di un incidente d’auto causato da una lastra di ghiaccio sulla quale slittò.

Così la storia pubblica e privata, tra soddisfazioni, riconoscimenti ma anche sofferenze immani, dolore e lutti della famiglia Rega è passata caratterizzando interi decenni attorno a quel “Gran Caffè” di piazza ferrovia a Sant’Anastasia. Oggi Pupa Rega è testimone silenziosa di un percorso dal quale ci si è dovuti, ogni volta, rialzare per rinascere e non perire del tutto sotto i colpi delle cose più infauste. A novant’anni, sua mamma Maria ha deciso, suo malgrado, di chiudere il cerchio delle cose vissute. Resteranno nello scrigno dei ricordi individuali e collettivi tutte le stagioni, le immagini, gli accadimenti che hanno avuto come teatro quella piazza ferrovia che con il “Gran Caffè” è stata, per molti anni, luogo d’incontri, di comunità e simbolo di aggregazioni per tanti anni nella ridente Sant’Anastasia degli anni passati.

fdr