Alessandra Ghisleri per “la Stampa” ha commentato, con lucida disanima, i risultati di un recente sondaggio (marzo-aprile 2024) con il quale si comprende in che misura gli italiani sanno della corruzione che c’è in politica e di quanto essa sia vista ormai come parte del “sistema” corrotto di partiti, correnti, movimenti, liste civiche e apparati di partito. Ho provato a riportarne qualche dato davanti al quale c’è ben poco da sperare. Ai giovani togliamo gli spazi dell’impegno civile perché si candidano, indirizzano e “comandano” sempre gli stessi da decenni. E chi li segue è uguale perché si forma allo stesso stile: occupare a vita lo spazio politico con “serbatoi di voti” spacciando tutto come “passione” per il bene comune che comune non è perché è il bene di se stessi. Togliamo, in questo modo, il diritto a cambiare perché tutto resta uguale e anzi peggiora sempre di più. Togliamo il bisogno di novità che ogni luogo del mondo italico, piccolo o grande che sia, dovrebbe seguire.
Sta su tutte le questioni di etica e legalità in politica in questi giorni di metà aprile ’24 la vicenda di Bari e della Puglia, in generale, che tocca nel vivo il PD. Ma la corruzione a giudicare da quello che gli italiani pensano degli italiani corrotti, quella sì, è trasversale. Tocca tutti i partiti e i luoghi d’Italia. Tocca piccoli e grandi centri perché il sistema politico è lo stesso. La corruzione dilaga. Sta ovunque. Orienta le scelte, determina gli scenari ma soprattutto si muove oggi con molta più cautela affinché la richiesta di tangente non sia un corpo estraneo ma faccia parte del sistema.
Eppure, non trovo nessun sollievo sapere che la corruzione che ha colpito e colpisce il mio paese natale sta ovunque. Che le tangenti qui e altrove le chiedevano ieri come oggi sotto varie forme. Stando bene attenti oggi a non provocare scontri, arresti, incidenti di richiesta. Attenti a non trovare l’opposizione di chi decide di pagare per utilità personale, per calcolo, tornaconto, opportunità d’impresa. E così non si pensa più nemmeno lontanamente di denunciare il politico locale, regionale o nazionale che chiede soldi perché quei soldi dati in tangente, “contributo” elettorale, dazio, tassa occulta, frutteranno, porteranno prima o poi un vantaggio sicuro. Lo sanno bene tutti gli italiani di tutti i partiti che hanno risposto al sondaggio recente del quale porta testimonianza e dati Alessandra Ghisleri su “la Stampa”.
Che piaccia o mano sono corrotti politici del PD, di Fratelli d’Italia, di Forza Italia, del Movimento 5 Stelle, della Lega. I corrotti sono socialisti (quelli che restano), gli ex democristiani, gli ex comunisti e di ogni altra sigla e bandiera politica si possa avere oggi in Italia. Non a caso, sottolinea Alessandra Ghisleri, “oltre il 56% dei cittadini pensa che il degrado morale nei partiti non sia cambiato dal 1992”. E ancora: “Il 56,8% degli italiani è convinto che rispetto a 10 anni fa la corruzione in politica è rimasta invariata e sempre molto diffusa. Un cittadino su 3 (30,1%) è addirittura convinto che sia aumentata. La denuncia attraversa tutti i partiti politici sfiorando il 70,0% tra gli elettori del Partito Democratico (68,1%) e quelli di Fratelli d’Italia (67,1%). Sono passati 32 anni dallo scandalo di Tangentopoli, eppure sembra che il connubio affari e politica non si sia mai estinto, ma anzi nel tempo, si sia rinvigorito e affinato negli assetti. Dal 1992 abbiamo assistito ad una profonda trasformazione del panorama politico italiano, con il declino dei partiti coinvolti nello scandalo e l’emergere di nuove forze politiche”. Ma la musica, il sistema è rimasto lo stesso.
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“L’ultima vicenda di Bari – annota Alessandra Ghisleri – sta sensibilizzando, ancora una volta, l’opinione pubblica sul difficile rapporto tra politica, affari e partecipazione civica. Il 72,2% dei cittadini intervistati in un sondaggio condotto da Euromedia Research per la trasmissione «Porta a Porta» afferma che la corruzione in politica attraversa tutto l’arco politico in maniera trasversale, mettendo in discussione la credibilità e l’integrità delle istituzioni politiche non solo locali. Il tono del racconto delle vicende porta con sé un carico importante che mette gli elettori di fronte ad una riflessione: l’incontro tra politica e malaffare è un atto di normale sopravvivenza e convivenza per entrambi?”
Più saggia o perversa è l’opinione pubblica che sembra indignarsi, cercare alternativa ma trova e vota sempre le stesse persone. Quelle che riescono a sopravvivere in un sistema malato e corrotto. Quelli che fanno clientela con tutto quello che possono. Quelli che favoriscono gli amici e gli amici degli amici. Insomma una vecchia storia assai ben nota. E che tu scriva libri sui tangentisti o sulla corruzione, che tu veda e dica (o non dica nemmeno più) in quanti modi chi parla di legalità porta avanti solo il proprio interesse personale. Il sondaggio recente è la prova che tutti sanno e che a tutti, per qualche strano modo di farsi del male, sta bene così.
«La politica italiana – scriveva non a caso qualche anno fa il sociologo Stefano Allievi – ha fatto della contemplazione della propria immagine una religione e del narcisismo una mistica. L’ossessione di se stessa è precisamente quello che le impedisce di guardare agli altri, al paese: e che ne fa un dato patologico, una malattia della psiche in senso proprio, per molti aspetti una devianza.
Guardarsi l’ombelico non vuol dire riflettere. Non c’è niente, nella qualità della vita politica italiana, delle virtù dell’introspezione, che presuppone una capacità di approfondimento dei problemi. Si naviga sulla superficie, guardandosi allo specchio: narcisisticamente, appunto. Ecco perché il centro della sua attenzione è se stessa. Ecco perché passa il tempo a parlare di sé, dei propri problemi personali, delle proprie ritualità, dei propri modesti rappresentanti, commentandone il minimo gesto, per quanto inutile, o il minimo sospiro, benché irrilevante. Ecco perché si parla di leader – veri, presunti o aspiranti tali – di correnti, di clan: e non di problemi, della società che i rappresentanti dovrebbero per l’appunto rappresentare, e che è la giustificazione stessa della politica, che dovrebbe farsene carico. La politica si presenta come un’ab-norme famiglia patologica. Uomini e donne vuoti e labili: che sanno posizionarsi solo rispetto alle persone – alla persona del leader da cui dipendono, del padre padrino politico – e non ai problemi che devono affrontare, incapaci di autonomia. Un vizio a sua volta coltivato da padri padroni immaturi, che temono anziché auspicare l’autonomia dei propri figli. (…). Entrambi infine, padri e figli, affetti da una bulimia grave da occupazione delle istituzioni e devastazione delle risorse, alla ricerca della propria gratificazione personale, della soddisfazione dei propri desideri, ignari dell’orizzonte collettivo, della responsabilità comune, del bene pubblico. In un circolo vizioso che ci riporta all’inizio, all’autismo cieco e senza prospettiva di una politica immatura, che vive in un eterno presente: il proprio, quello del proprio godimento immediato. E in questa psicopatologia della vita politica, è al paese che viene tolto il presente, ed è ai figli, alle nuove generazioni, che viene impedito di affacciarsi sul futuro.
È come se il paese fosse in mano a degli psicotici: il cui delirio di onnipotenza è inversamente proporzionale all’impotenza sostanziale che li distingue. Per liberarlo, per liberarci – mettendo finalmente la vita reale, e non i politici, al centro della politica – occorre liberarcene. Uccidendo simbolicamente il padre, come insegna la psicoanalisi. Uscendo dalla riproduzione dei medesimi meccanismi. Riformando radicalmente le istituzioni. Altrimenti chi ci entra diventa come chi c’è già. L’abbiamo visto con l’ampio ricambio di persone – all’interno tuttavia dello stesso meccanismo di cooptazione senza merito, che produce dei figli identici ai padri – emerso con le ultime elezioni: presi in un meccanismo malato, si sono ammalati tutti della stessa malattia. Quando una psicosi è conclamata, occorre una presa in carico e una terapia. Ed è precisamente ciò che il sistema non è in grado di darsi da solo. Da qui la virtù necessaria di un ricambio radicale: non solo di persone, ma di metodo. L’unica cura possibile, quando il malato non intende curarsi».
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