A Katiuscia che ha vissuto contro il marcio d’intorno ed il male di dentro

La vita è breve. Così breve che in certi casi assomiglia ad un lampo. E quando quel lampo diventa il confine tra ciò che poteva essere e ciò che, invece, non è stato la vita mostra il suo dramma tutto umano. E lo mostra, puntuale, in tutte le vicende di morti premature che stanno funestando ogni angolo del mondo e di quelle piccole comunità cittadine dove tutti ci si conosce e dove il dramma per morti di cancro viene percepito in maniera amplificata, diventa inquietante, un incubo, un lutto che funesta famiglie, la vita di chi resta, la stessa visione di futuro. La storia breve, appena 45 anni, di Katiuscia Giuseppina Fusco, la figlia del “messicano”, è finita il 9 febbraio del 2020 dentro le ombre di quelle ore che precedono di poco le luci dell’alba. Katiuscia era nata l’11 maggio del 1974 da una famiglia che oggi si direbbe popolare, di umili origini, legata ad un vicolo dove si cresceva assieme dentro i cuori antichi dei vecchi insediamenti umani. Come di quelle tante famiglie di persone perbene che si sudano la vita con lavori umili ed onesti e chiedono a chi sta intorno a loro la stessa dignità, lo stesso lindo chiarore di vita. Analogamente nelle vicende politiche locali, così tumultuose ed estreme, di questi anni, Katiuscia, che non aveva scranni e non militava in partiti politici, non aveva scelto l’ipocrisia del silenzio o delle connivenze. Nemmeno il qualunquismo di chi fa finta di stare con tutti per convenienza ma non sta con nessuno se non con gli opportunismi. Simile, Katiuscia, in questo, del tutto al suo papà, detto e conosciuto a Sant’Anastasia come il “messicano” probabilmente per i suoi tratti somatici del tutto simili a quella genìa, che non ha mai nascosto il proprio pensiero e non ha mai elemosinato nulla. Dipendente comunale fino a qualche anno fa, il papà di Katiuscia ha lavorato da netturbino e si è occupato di altro ancora con l’abnegazione di chi conosce il valore di una comunità. Ad un confronto tra candidati a sindaci al Metropolitan di qualche anno fa mi chiese dal pubblico il microfono e la cortesia di esporre, senza mezzi termini, ciò di cui, secondo lui, la comunità aveva bisogno. Ed io gli diedi lo spazio che chiedeva.

Il papà di Katiuscia

Katiuscia era cresciuta così. Accanto ad una mamma mite ma decisa e ad un padre che sapeva e voleva esporre il proprio pensiero nel vernacolo delle origini. Con fierezza e forza. Così Katiuscia aveva voluto prendere una posizione chiara e netta contro i politici che prendono tangenti. Anzi. Assieme ad altri aveva creduto che la stagione delle tangenti gli anastasiani l’avessero lasciata alle spalle e per questo non si era risparmiata nell’esporre, con post pubblici sul suo profilo facebook ed altro, ciò che pensava e riteneva giusto. Nel frattempo il brutto male premeva alle porte del cuore. Era nel suo petto come un ladro di notte che vuole rubarti l’anima ed il cuore. Ad ogni lutto prematuro di anastasiani, caduti per lo stesso male, Katiuscia saltava d’angoscia. Lo avvertiva come un ammonimento rivolto anche a lei. Che tutto poteva finire. Che la speranza di aver vinto per sempre il suo male oscuro, come molti di noi avevamo creduto, fosse un fatto vero e concreto. E più passava il tempo e più sembrava una conferma. Invece, era solo l’illusione di questi mesi.

Tuttavia, Katiuscia Giuseppina Fusco non si è mai persa d’animo. Ha lottato, ha combattuto. Ha pianto e riso. Ha preso parte all’ultima campagna elettorale facendo prevalere, più forte di altre, la passione per la legalità. Ha scritto post che sono stati presi a pretesto per fare arrivare una querela a lei, già malata e spesso in lotta con la morte, che il giudice voleva archiviare da subito. Il 30 ottobre dello scorso anno mi aveva scritto… “Buongiorno Francesco, vuoi sapere l’ultima? L’indagato mi ha querelato. Devo fare una causa per diffamazione”. Si riferiva all’ex sindaco Esposito contro il quale Katiuscia non si era risparmiata nel corso di tutta l’ultima campagna elettorale per le elezioni dello scorso maggio. Convinta che le tangenti a Sant’Anastasia sarebbero state ormai una storia passata e legata solo a lui. Mi aveva voluto far sapere che era stata convocata dal Tribunale di Nola e detto il nome dell’avvocato d’ufficio che la doveva difendere. Mi aveva chiesto di darle sostegno se le cose in Tribunale si fossero messe male per lei. Le avevo detto che sarebbe stata prosciolta da ogni accusa e che la seconda richiesta di archiviazione del giudice sarebbe stata quella definitiva. Il 28 gennaio scorso sarebbe andata a discutere con il suo legale la sua posizione. Nel frattempo, la malattia insidiava il suo corpo e l’anima e lo faceva da mesi. La questione era nota a tutti come le foto pubbliche delle sue “trasformazioni” che ne cambiano il volto, i capelli, l’espressione degli occhi. Ora è finita così. In mezzo ad un lampo di notte. Visione di luce e di lutto. La storia breve e triste di Katiuscia Giuseppina Fusco finisce così lasciando orfani di madre i figli affidati, ora, alle cure del marito che le è stato sempre al fianco in questo tempo. Katiuscia era rimasta disorientata dopo i fatti del 6 dicembre scorso. Come tanti altri che speravano in un futuro di legalità e di onestà. Certe vicende sono assiomi. Creano linee parallele. Nella notte buia della sua comunità Katiuscia avrebbe meritato un’aria, un tempo più sereni e più fedeli all’impegno civile che lei con pochi altri aveva messo in campo a favore della legalità e contro ogni tangente e tangentista. La sua storia, finita così, insegna che il coraggio e la lealtà spesso la trovi nelle esistenze umili che sono le più vere e le più leali. Quelle che non hanno bandiere, né pulpiti. Non hanno scranni, non hanno blasoni né partiti di appartenenza né scorciatoie sociali o associazioni a proteggere. Quelle esistenze che non si nascondono per nulla al mondo e non chiedono posti di lavoro in cambio di voti. In mezzo a mille veri bisogni, primo tra tutti il traguardo di una vera guarigione che non è mai venuto, Katiuscia ha voluto vivere la sua breve vita con tutta la dignità che la vita merita. Portando, ancora pochi giorni fa, sua figlia a scuola tutte le mattine che poteva. Sorridendo al mondo e alla speranza che ce la potesse fare con l’aiuto di Dio e della sua fede. Non è andata così. Ma la sua storia resta un esempio di coraggio e di lealtà a futura memoria per tutti quegli anastasiani che la memoria sanno bene cosa sia.

fdr

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2 commenti

  1. Ci sono lacrime che nessun abbraccio, nessuna carezza, nessuna parola neanche il tempo potrà più asciugare…
    R.I.P. amica mia 🙏😥

  2. Complimenti x chi ha scritto qst belle parole…..katia mi ha visto crescere……Era umile vera….E ho sempre pensato di essere simile a lei…..VERE NONOSTANTE TUTTO….Credo che farai tremare anke il paradiso…..mi manchera tanto quel tuo mess…..vola in alto piu che puoi……Un bacio fin lassu😥😥😥😥😥😥😥

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